Nel 2025, celebreremo il 200° anniversario dell’invenzione della Tunnel Boring Machine (TBM), una rivoluzionaria tecnologia che ha trasformato il modo in cui vengono costruite le gallerie in tutto il mondo. In questa rubrica esploreremo l’evoluzione delle TBM, partendo dalle prime idee e dai prototipi fino alle macchine moderne che oggi avanzano sotto ammassi rocciosi, fiumi e città con precisione e velocità sorprendente.
Il traforo ferroviario del Fréjus – impropriamente chiamato anche del Moncenisio – tra Francia e Italia rappresenta uno dei passaggi più importanti e storicamente significativi delle Alpi. Nel XIX secolo, la crescente esigenza di migliorare le comunicazioni tra il Mediterraneo e l’Europa centrale spinse il Regno di Sardegna a intraprendere un ambizioso progetto: la costruzione di un tunnel ferroviario attraverso le Alpi del Moncenisio. Questo progetto, segnato da numerose sfide per l’epoca, rappresentò una pietra miliare dell’ingegneria grazie ad uno dei primi utilizzi dello scavo meccanizzato.
Gli studi preliminari vennero affidati all’ingegnere belga Henri-Joseph Maus. Su commissione di Carlo Alberto di Savoia, allora re di Sardegna, Maus ideò la prima macchina scava-tunnel vera e propria, la “mountain slicer”. Progettata nel 1845, la macchina “affetta-montagne” era un dispositivo colossale: grande come una locomotiva, venne costruita in una fabbrica di armi presso Torino. Era dotata di oltre un centinaio di trapani a percussione montati su un telaio che, posizionato frontalmente, era in grado di frantumare la roccia con un’efficacia mai vista prima. Tuttavia, i moti rivoluzionari del 1848 fecero passare in secondo piano il progetto del tunnel del Fréjus. La costruzione della galleria venne rimandata di oltre un decennio, e quando i lavori ripresero, il progetto di Maus fu messo da parte.
L’idea di utilizzare una macchina per automatizzare lo scavo del tunnel, tuttavia, non venne abbandonata: si optò per una tecnologia più economica e facilmente gestibile, ovvero la perforazione pneumatica. Il progetto definitivo venne redatto dall’ingegnere savoiardo Germain Sommeiller che, con il supporto di Severino Grattoni e Sebastiano Grandis, realizzò una nuova macchina per lo scavo meccanizzato, segnando un’altra svolta epocale nella costruzione delle gallerie. Al progetto collaborò anche l’ingegnere minerario Quintino Sella: al futuro ministro delle finanze del Regno d’Italia venne chiesto di risolvere il problema dell’aerazione della galleria.
La macchina di Sommeiller – brevettata già nel 1854 – era un congegno molto imponente. Azionata da un motore a vapore, questo prototipo di TBM utilizzava un tamburo rotante con un centinaio di punte in acciaio per perforare le dure e resistenti rocce alpine. Il tamburo girava lentamente, creando una serie di fori ravvicinati che indebolivano la roccia. In realtà, la perforazione non aveva come scopo principale lo scavo, bensì la realizzazione dei fori di mira per la disposizione delle cariche esplosive. Il motore a vapore, un’innovazione per l’epoca, consentiva alla macchina di applicare una forza costante e controllata, riducendo il rischio di incidenti e migliorando l’efficienza del lavoro.
Il 31 agosto 1857 il re Vittorio Emanuele II ordinò l’inizio dei lavori, finanziandoli con ben 42 milioni di lire. Poco dopo, finalmente, si partì da Bardonecchia. Sommeiller ipotizzò, sulla base di alcune prove fatte nel quartiere genovese di Sampierdarena, un avanzamento di tre metri al giorno: sin da subito, tuttavia, si capì che le Alpi del Moncenisio erano più resistenti di quanto immaginato. La costruzione del tunnel del Fréjus non fu priva di ostacoli: il primo, di carattere politico, fu la cessione della Savoia alla Francia nel 1860 che bloccò momentaneamente i lavori, prima dell’intervento risolutivo di Cavour. L’accordo chiedeva una realizzazione in massimo venticinque anni in cambio di un finanziamento di 19 milioni di lire da parte dei cugini d’Oltralpe, più un milione di premio per ogni anno di anticipo sulla scadenza fissata. Le difficoltà geologiche, comunque, erano notevoli: strati di roccia estremamente dura, infiltrazioni d’acqua e condizioni climatiche avverse resero lo scavo una sfida titanica ma non impossibile. Anche la macchina venne messa a dura prova: nel 1866 vennero sostituiti oltre 2.500 corpi di perforazione e oltre trecentomila punte.
Nonostante queste difficoltà, il giorno di Natale del 1870 gli operai riuscirono ad incontrarsi a metà strada tra gli imbocchi di Bardonecchia e Modane, completando la costruzione di oltre 13,6 chilometri di tunnel. L’inaugurazione avvenne il 17 settembre 1871: la macchina di Sommeiller era incredibilmente riuscita in un’impresa che sembrava impossibile, ovvero la realizzazione di una lunga galleria ferroviaria in soli tredici anni contro i settantuno stimati con l’utilizzo dei metodi tradizionali manuali. Su circa quattromila operai, ne perirono in quarantotto: un numero decisamente esiguo per l’epoca, ancora più basso se si pensa che diciotto di questi morirono per un’epidemia di colera e non d’incidente. I giornali parlavano di una «delle più grandi, se non la più grande, impresa ingegneristica dell’epoca». Basti pensare che tuttora, ad oltre centocinquant’anni dalla sua apertura, il traforo del Fréjus viene ancora utilizzato per la circolazione ferroviaria tra Italia e Francia. Un autentico successo della scuola ingegneristica italiana e un passo importante per lo scavo meccanizzato delle gallerie.